Prima di raggiungere l’oceano

La libertà si difende. Anche con i simboli

Sabato ho deciso di tatuarmi il Tryzub, il tridente simbolo antico del principato di Kyiv. Un gesto forte, che per me significa scelta, identità, memoria. Un simbolo che, per inciso, preesiste a quello di Mosca.

Non pensavo che avrebbe suscitato una reazione tanto aggressiva: l’ambasciata russa mi ha infatti definito un “seguace di Petljura, Bandera, Shuchevich e altri nazisti e collaboratori di nazionalità ucraina, le cui mani si sono sporcate di sangue di ebrei, rom, ungheresi, russi, ucraini”. Testuali parole. 

Io non ho certo agito per provocare. Ci sono battaglie che segnano epoche e cambiano il corso della storia. La guerra in Ucraina e quello che stanno facendo gli ucraini per la loro e per la nostra libertà è, secondo me, una di quelle. Ed è questo il motivo del mio gesto. Esprimere vicinanza, imprimermelo sulla pelle.

Ma forse è proprio questo che spaventa così tanto: che la libertà abbia alleati e che la storia non si cancelli, per quanto lo si provi a fare. Che il coraggio alla fine vince sempre sulla tirannia e una reazione così violenta non è che la prova che i russi ne sono consapevoli.

Le accuse dell’ambasciata non mi hanno fatto né caldo né freddo: non sono io a rischiare qualcosa, chi rischia sono i ragazzi ucraini che difendono la libertà del loro Paese. Non la loro personale, ma quella delle loro madri, dei loro amici.

Un tatuaggio resta per tutta la vita, e mi sono tatuato una battaglia della vita: la difesa della libertà e la battaglia contro i dittatori. L’unico vero dittatore oggi è Vladimir Putin e dobbiamo utilizzare tutte le nostre forze per combatterlo e stare vicino al popolo ucraino.

Ho parlato di tutto questo al Linkiesta Festival, dal palco ho ribadito l’importanza di far sentire la nostra vicinanza agli ucraini.

Abbiamo perso il senso di cosa sia la libertà collettiva, premessa della libertà individuale: la determinazione del popolo di non essere soggiogato. È un concetto che sfugge perché non abbiamo memoria storica, ma è un tema più che mai presente. 

E non riesco davvero a capire quei segretari di partito che tutti i giorni parlano di resistenza e antifascismo e in quattro anni non hanno mai trovato il tempo di prendere un treno per andare in Ucraina. Non è un dettaglio trascurabile.

La drammaticità storica richiede atti di coraggio: o i riformisti hanno il coraggio di andare per l’alto mare aperto e costruire un’area liberaldemocratica che sia prima di tutto tutela della libertà collettiva attraverso la forza, o resteranno vittime delle scelte scellerate che gli imporranno gli alleati che si sono scelti.

Io volevo fuggire, ma poi ho pensato che ad un certo punto avrei raggiunto l’oceano e che allora mi sarei dovuto comunque girare a combattere”. Queste sono le parole di un artista ucraino quando è iniziata l’invasione russa che mi sono rimaste scolpite dentro e che ricordo ogni giorno a me stesso.

L’Occidente è a pezzi e oggi le democrazie cadono e con esse la libertà. È tempo di difenderla perché prima o poi all’oceano si arriva, e allora perché non costruire prima che sia troppo tardi una coraggiosa alternativa a questo disdicevole bipopulismo?

E tu da che parte sarai?