No a soldati in Ucraina. Subito una conferenza tra i paesi fondatori Ue sulla difesa comune.

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03/05/2024

Di seguito, l'intervista di Carlo Calenda all'Huffington Post.

Carlo Calenda, leader di Azione, anche lei, come Macron, vede il “risveglio strategico” dell’Europa a seguito dell’aggressione russa?

A me sembra che il tema sia, per l’Europa, esattamente l’opposto: se non c’è il risveglio c’è il declino. A fatica è stato dato il sostegno che andava fornito a Kiev. E tuttavia io penso che l’Ucraina sia proprio la cartina di tornasole di ciò che l’Europa non è e dovrebbe invece essere: una grande potenza, non un condominio litigioso. L’Ue è irrilevante nello scacchiere mondiale se non mette in moto un processo di costruzione di una difesa comune. È da lì che parte il suo rafforzamento come entità politica, come accadde col tentativo della Ced a cui De Gasperi volle legare la Comunità Politica Europea. Gli Stati Uniti d’Europa possono nascere solo da qui.

Si riferisce alla Comunità europea di Difesa, che fu prevista dai paesi aderenti alla Ceca, ma poi non entrò in vigore a causa della mancata ratifica da parte della Francia.

Però l’approccio era giusto. Nel momento in cui, come oggi, devi costruire un pooling di armamenti come lo chiamava Carlo Sforza, mettendo insieme 240 miliardi di euro, questa è una tappa dell’Europa politica. E come accaduto con l’Euro, è impensabile che questo venga fatto da tutti i paesi. Occorre realisticamente partire da un nucleo di paesi fondatori, cui poi si aggiungerà chi lo riterrà. Sicuramente va coinvolta anche la Gran Bretagna che sul piano della difesa è rimasta profondamente integrata.

Proprio l’Ucraina però ci racconta un ripiegamento nazionale della discussione. C’è chi prudentemente non ne parla, perché impopolare, c’è chi, come Macron, ravvisandone un vantaggio parla di invio di truppe di terra, unico in Europa.

Macron ha fatto una fuga in avanti a mio giudizio sbagliata, con una logica però non esclusivamente rivolta all’interno del suo paese. Il suo è un modo per dire al nemico, cioè a Putin, “nel caso siamo pronti”. Anche durante la Guerra Fredda tutta la dottrina del contenimento si fondava su questo, evitando tuttavia il confronto diretto.

Però, nel momento in cui lo fa, disvela quando l’Europa non sia pronta: non a mandare truppe, ma ad affrontare il tema di fondo. Che poi è quello che va ripetendo Crosetto: in questo mondo confuso, non si può parlare di sicurezza come vent’anni fa, ma non siamo pronti a cambiare paradigma.

E questo è il vero problema. Non siamo pronti ad affrontare questa discussione, proprio nel momento in cui siamo sfidati. Giorgia Meloni dice no all’Europa della difesa comune, perché ha come modello l’Europa delle Nazioni. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz è in un momento di difficoltà estrema, per la crisi economica e per la guerra. Pedro Sanchez ha un governo fragile ostaggio degli autonomisti catalani.

Dice Macron, nella sua intervista all’Economist, a proposito di Giorgia Meloni: “Noto che i nazionalisti, che sono stati eletti su una piattaforma di dubbi sull’Europa, si comportano più come europei, e ne sono felice. Il presidente del Consiglio italiano, almeno oggi, ha un approccio europeo. In effetti, ha sostenuto il patto di asilo e immigrazione”.

Finché non vince Trump, cosa che ovviamente non mi auguro. Temo che a quel punto potrà cambiare linea anche spinta dall’impopolarità della guerra. I sovranisti fanno marketing non hanno contezza della storia e aderenza ai valori democratici liberali.

Lei finora però si è allineata al vincolo esterno, inteso come amministrazione americana. Ed è probabilmente l’elemento più riuscito del suo governo. Non sta per nulla occhieggiando a Trump. Perché non pensa che questo approccio sia irreversibile?

Perché a mio giudizio domina un approccio, diciamo così tattico. Il vincolo esterno lo ha curvato in chiave di legittimazione: se vuoi stare al governo in Occidente devi stare con gli Stati Uniti e rispettare i parametri di bilancio europeo. Ma in Europa non ci sta da europeista. Dietro la sua paccottiglia ideologica sull’Europa delle nazioni c’è un approccio di estraneità e di conflittualità con Francia, Germania, Spagna. Li considera avversari politici e non partner per una costruzione più grande.

Che partita farà sulla Commissione, secondo lei?

Il “modello italiano”, l’idea cioè che a Bruxelles ci sarà una maggioranza di centrodestra, è propaganda. La maggioranza sarà invariata, magari con diversi rapporti di forza. Vediamo se Meloni la farà votare. Ma il tema difesa si costruisce non a livello di Commissione, ma a livello di un nucleo trainante di Stati membri. Avanzo una proposta.

Prego.

Una grande Conferenza sulla sicurezza fatta dai paesi fondatori allargati: Italia, Francia, Germania, Spagna, Benelux, Polonia, invitando anche la Gran Bretagna. Sediamoci attorno a un tavolo e facciamo un ragionamento serio nella direzione difesa comune: forza di reazione rapida e scudo anti-missili europeo. Nel Consiglio questa roba non si farà mai perché Orban non sarà d’accordo. E se vince Trump, noi saremo mollati da soli e finirà l’era della sicurezza gratis. Abbiamo il dovere di ragionare sul “worst case scenario”. Questo ragionamento vale anche se, come penso, Putin non sfonderà in Ucraina perché arrivano gli aiuti americani.

La situazione sul terreno racconta di un aumento delle attività militari dei russi dopo l’attentato terroristico a Mosca ha ferito l’immagine di Putin, mostrando una defaillance nella sicurezza. Però è presumibile che non farà “all in” perché aspetta Trump. Che ha già dichiarato che, in caso di vittoria, aprirà un negoziato con lui.

Senza dubbio, ma il problema c’è già, qui ed ora. Non dobbiamo aspettare il disimpegno americano o che Putin bussi alle porte dell’Europa. C’è una cosa che trovo insopportabile. Il popolo ucraino, con la sua straordinaria resistenza, non solo sta difendendo una libertà che è anche la nostra, come democrazie. Ma ci sta anche facendo guadagnare tempo per fare ciò che siamo irrresoluti a fare. Una discussione appunto sulla sicurezza, come presupposto della democrazia nell’era delle sfide da parte delle autocrazie.

Conta molto la war fatigue, la stanchezza delle opinioni pubbliche occidentali.

Non abbiamo il diritto ad essere stanchi davanti al sacrificio di quel popolo. Diciamoci la verità: la discussione è surreale. Ma le pare possibile che Ursula invece di parlare di uno scudo antimissile europeo parla del Green Deal e Francia e Germania, che lo vogliono fare, non sono d’accordo sul come e non vogliono comprare i radar da Israele così raddoppiamo i tempi? Dovremmo fare, come dice Draghi, uno Stato europeo, ci ritroviamo in un condominio litigioso. Insisto: o adesso, o mai più.

L’Italia è specchio delle medesime contraddizioni europee.

Per responsabilità delle sue classi dirigenti. Guardi che schifezza di campagna per le elezioni europee più importanti degli ultimi trent’anni: Salvini aspetta Trump per dire no alle armi, Renzi candida Librandi che votò contro gli aiuti a Kiev, il Pd candida come punte di diamante Tarquinio e Strada, che ricordano i partigiani della pace di Stalin, quelli che facevano finta di essere per la pace, ma sono contro l’America. E per cortesia, la piantassero con questa storia dei soldi tolti agli ospedali per gli armamenti. Siamo quelli che spendono meno in difesa. I soldi alla sanità li ha tolti il superbonus, non le armi.

(intervista a cura di Alessandro De Angelis)