La sindrome del male minore davanti al Governo Conte

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22/05/2020

L'editoriale di Alessandro Barbano sull'Huffingtonpost.

Poi, più che la paura di Salvini, poté la vergogna della paura di Salvini. Perché sarà anche vero che il Governo non può cadere. Sarà anche realistico turarsi il naso e negare la sfiducia a un Guardasigilli come Bonafede, illudendosi che sia cosa diversa dal dargli la fiducia. Ma davvero possiamo raccontarci che i soldi ci sono, gli aiuti non mancano, i tamponi aumentano e il resto verrà da sé? C’è uno strabismo che coinvolge una parte del ceto alto riflessivo del Paese e rimuove, con improbabile ottimismo, l’imbarazzo di aver sostenuto la nascita del Governo giallorosso. Riguarda allo stesso modo un’intellighenzia liberale e una progressista, entrambe disarmate dei propri riferimenti ideali dalla crisi della globalizzazione, e aduse da venticinque anni di bipolarismo contrappositivo a confondere le policies con la politics.

Così può accadere che si giudichino Bonafede inadeguato, Azzolina inqualificabile, Di Maio inconsistente, Pisano inconcludente, Speranza appena prudente, Gualtieri e Patuanelli veterodirigisti, Provenzano inopportuno, Spadafora addirittura grottesco, salvo poi sorvolare sul modo con cui le politiche pubbliche, di cui questi ministri portano la responsabilità, hanno attraversato la crisi pandemica e si avviano ad affrontare quella, forse perfino più grave, economica e sociale.

La prima rimozione riguarda la performance sanitaria. Davvero deve esserci precluso, in nome dell’ineluttabilità epidemiologica, un giudizio sugli errori della Fase 1? Davvero possiamo ignorare che la pandemia ha testato il livello di efficienza delle democrazie e che per l’Italia è stata una Caporetto per numero di vittime, tra cui medici e paramedici in una misura che non ha eguali? Davvero possiamo dimenticare di aver ospedalizzato la crisi, trasformando le strutture sanitarie in moltiplicatori del contagio? Di aver inseguito il virus cercando di placcarlo alle spalle, ma facendocelo sempre sfuggire, fin dal blocco dei voli con la Cina, per proseguire con le chiusure tardive delle sorgenti dell’epidemia in Lombardia? Di aver rinunciato per settimane a estendere il numero dei tamponi, ritenuti poi lo strumento più utile per contrastare la pandemia? E adesso che la fine del più oneroso e rigido lockdown d’Europa ci pone di fronte alla sfida di convivere con il rischio, davvero vogliamo sorvolare sul ritardo nella cosiddetta strategia delle tre T, per testare, tracciare e trattare il virus sul territorio? Oppure ci illudiamo di sostituire con una App un servizio di biosorveglianza che dovrebbe resuscitare una medicina di base da decenni portata fuori dalla gestione dell’emergenza, e trasformata in un bancomat della ricetta facile per compiacere a una pretesa corporativa dei camici bianchi?

Allo stesso modo la risposta della scuola all’attacco pandemico ha coinciso con l’interruzione delle attività didattiche. In mancanza di device, connessioni e formazione adeguate, le lezioni a distanza sono state un fallimento. Gli studenti più deboli, più poveri, più periferici hanno pagato di più. Ci pare ininfluente che nella maggior parte delle democrazie europee le scuole siano riaperte o stiano riaprendo, mentre l’Italia ha rinunciato a programmare un’apertura estiva per recuperare il ritardo accumulato? Possiamo considerare un successo il fatto di indebitarci oltre ogni immaginazione, e forse oltre ogni sostenibilità, per sussidiare in ritardo cittadini e imprese, e per mettere in atto un revival del dirigismo postbellico che servirà solo a prolungare, a spese dei posteri, l’agonia di molte aziende, e a moltiplicare le poltrone della politica nei loro consigli di amministrazione?

Le crisi sono l’occasione per cambiare e uscirne trasformati, oppure la cassa di amplificazione di antichi vizi. La sanità, la scuola, l’economia non hanno un disegno trasformativo, perché il Governo e la sua maggioranza non hanno minimamente preso in considerazione l’ipotesi di adeguare regole, contratti e tutele alla nuova realtà disegnata dalla pandemia. Per questo la ministra dell’Istruzione si è preoccupata di garantire ai sindacati degli insegnanti che i doppi turni non si faranno, piuttosto si terrà metà classe in aula e un’altra metà a casa, davanti al computer. Di fronte a questa stagnante immobilità, si può considerare solo un incidente di percorso il divorzio, prima ancora delle nozze, tra il Governo e i saggi guidati da Vittorio Colao?

Nella reazione del sistema italiano c'è un parallelo con quella tempesta autoimmune che il coronavirus ha scatenato in molte vittime, facendo sì che l'aggravarsi della malattia non fosse causato dalla replicazione virale, quanto dall’iperattività degli anticorpi. Il paternalismo statalista, il corporativismo impermeabile e il moralismo intransigente sono le difese impazzite di una democrazia fragile, che rischiano di condannarci a una decrescita infelicissima. Dopo due anni di feroce giustizialismo, in perfetta continuità tra i governi gialloverde e giallorosso, possiamo accontentarci dell’offerta di Conte di un'aggiustatina alle funzioni dei magistrati, perché - come dice il premier in un’intervista al Foglio - le carriere sono già a posto?

Un attacco autoimmune non meno grave al Paese rischia di giungere da quella sindrome del male minore, che ci sottrae anche un contributo residuo di spirito critico, di cui ci sarebbe quanto mai bisogno. Così, se la paura di Salvini ci suggerisce di trangugiare una minestra avariata, la vergogna della stessa paura c'impone di mandarla giù con la gola che si strozza e la bocca che si apre in un sorriso. Per dire: ma quant'è buona!