Il risveglio della forza passa dalle università alle fabbriche

In queste settimane sto attraversando l’Italia passando da un’aula universitaria all’altra, dal cancello di una fabbrica all’altro. E sai perché? Perché, per me, è sulla tenuta della nostra democrazia e sulla tenuta della nostra industria che, di qui ai prossimi anni, ci giocheremo il futuro del nostro Paese.

Nelle università: dove cresce una nuova consapevolezza.

La generazione che incontro ogni giorno negli atenei –  e sono più di 50 gli inviti che mi sono pervenuti da giovani studenti di ogni angolo della nostra penisola – è quella che, più di tutte, si troverà a dover difendere la democrazia liberale che abbiamo ereditato. E lo sta capendo.

Aule pienissime, domande serrate, discussioni vere. Altro che giovani disinteressati: vogliono parlare per ore di quanto accade nello scenario internazionale, di energia, industria, difesa europea, sanità, istruzione. Vogliono capire, formarsi, approfondire. Mai una domanda su possibili e future coalizioni, campi larghi, stretti o sconci.

Insomma, l’esatto contrario del “kindergarten” in cui la politica anno dopo anno, mese dopo mese, sta scivolando: show, slogan, istituzioni trasformate in teatrini acchiappa-like. Come ho avuto modo di dire a Giuseppe Cruciani (QUI il link al video) col quale mi sono confrontato ospite degli universitari della Bocconi: poi non sorprendiamoci se ci ritroviamo in un’Idiocracy in cui competenza e studio diventano quasi un disvalore. L’Italia non può permettersi questo declino culturale. Perché senza cultura civica, senza conoscenza, la libertà non si difende.

E sì, capita anche di trovare chi urla senza ascoltare – come è successo alla Sapienza e davanti l’aula della Statale di Milano: dodici persone con uno striscione pensavano di disturbarci intonando “fuori gli europeisti e i guerrafondai dalle università” senza aggiungere altro. Il tutto per soli cinque minuti, quelli utili credo alla ripresa televisiva.

Ho sempre provato a parlare con i manifestanti, ma tra urla, slogan confusi e accuse prive di argomenti è stato impossibile un confronto vero. Sentirmi dire “fuori i liberali dalle università” è stato surreale: perché è proprio grazie alla democrazia liberale che oggi tutti, anche loro, possono manifestare e contestare. Negarlo significa non comprendere le libertà in cui viviamo e che abbiamo ereditato.

Ma a parte questi sporadici e marginali episodi quello che mi restituiscono le ore di confronto avute è che in queste aule c’è una riserva di classe dirigente con cui bisogna riprendere il contatto.

Nelle fabbriche: dove si decide il destino dell’Italia produttrice

Quando non sono nelle università, sono davanti alle fabbriche. Alle porte degli stabilimenti Stellantis, a Pomigliano d’Arco, a Cassino, e ieri a Melfi, dove due aziende dell’indotto stanno chiudendo lasciando a casa quasi 200 famiglie. E Stellantis neppure si presenta ai tavoli.

Questa non è gestione industriale: è irresponsabilità. È rendere invisibili gli operai e le loro famiglie che stanno ritirando i figli dalle università perché non si possono permettere di pagare gli studi. È distruggere e abbandonare interi territori. QUI il mio ennesimo appello a John Elkann affinché si assuma le sue responsabilità.

E non è un caso isolato. Negli ultimi cinque anni sono state chiuse decine di migliaia di imprese manifatturiere. L’industria italiana – che genera più del 50% dei posti di lavoro diretti e indiretti – è sotto attacco da Stati Uniti, Cina, Europa, e totalmente ignorata dal governo.

L’ho ribadito anche davanti le imprese lucane (QUI il video): io non credo che ci sia piena consapevolezza del rischio che stiamo correndo. Una grande deindustrializzazione silenziosa che sta devastando competenze, filiere, comunità. E se crolla la manifattura, crolla l’Italia.

Perché porto avanti queste due battaglie insieme?

Democrazia e industria non sono due temi separati. Sono le fondamenta della nostra civiltà moderna. Senza giovani consapevoli, non si difende la libertà. Senza fabbriche e lavoro, non si difende la dignità delle persone.

Per questo continuerò, nei prossimi mesi, a muovermi avendo saldi questi due binari:
università per risvegliare le coscienze, fabbriche per non lasciare soli lavoratori e territori. Ma serve una comunità politica che tenga insieme queste battaglie e molte altre, con coerenza, con la vostra competenza e tanto coraggio. Questa comunità è Azione.

Se credi che l’Italia meriti serietà, lavoro, industria, libertà e non propaganda, ti chiedo una cosa semplice: tesserati ad Azione. È un modo concreto per dare forza a questa battaglia.

Perché il risveglio della forza parte dalle persone, dai piccoli ma grandi gesti, non dagli slogan.