Senza una politica industriale comune, la manifattura europea non ce la farà

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13/06/2020

L'intervista di Carlo Calenda a Il Sole 24 Ore: "Una vera e propria politica industriale in Europa non c’è mai stata"

"Senza una politica industriale comune dell'Unione europea la manifattura continentale non ce la farà. La sospensione parziale degli aiuti di Stato intervenuta con l'emergenza sanitaria ha fin qui avvantaggiato i Paesi con più disponibilità finanziarie. Senza una regia della Commissione, che non può limitarsi a dettare regole senza gestire direttamente i programmi dei singoli Paesi, finirà con la Germania che si è comprata tutta l’Europa".

L'allarme arriva dall’ex ministro dello Sviluppo e leader di Azione Carlo Calenda, che come membro della Commissione per l'Industria, la ricerca e l'energia del Parlamento UE è il relatore del dossier per la strategia industriale per il Parlamento Europeo. "È l'atto più vicino all'iniziativa legislativa che può fare l’Europarlamento", spiega Calenda.

"Una vera e propria politica industriale in Europa non c’è mai stata. Fin qui ci si è mossi all'interno dei fattori produttivi legati al mercato unico e commerciale, e la politica industriale portata avanti dall’Europa è stata spesso vaga e teorica. Un combinato disposto di dichiarazioni di principio, scarsità di risorse, eccesso di normative e meccanismi troppo burocratici. È ora di voltare pagina, bisogna agire con un sistema combinato di aiuti diretti e di stimoli fiscali rivolti soprattutto alle Pmi, o l’Europa ne uscirà squilibrata e travolta dai competitor internazionali".


Onorevole Calenda, colpisce che nella proposta di risoluzione dell’Europarlamento da lei curata si suggeriscano varie misure a protezione del mercato comune europeo e delle sue imprese. È davvero finita un’epoca?
"Se si rivolge lo sguardo a trent'anni fa, il sistema globale è divenuto più chiuso e protezionistico, nettamente diviso tra Paesi a economia di mercato e Paesi dove il capitalismo di Stato è ancora predominante e non di rado aggressivo. Per questa ragione, pur rimanendo ancorata al principio di libero scambio e al sistema multilaterale, l’Ue dovrà predisporre strumenti di difesa commerciale. Sarà fondamentale, ad esempio, che ogni piano di decarbonizzazione delle industrie europee sia accompagnato da un’imposta sul carbonio alle frontiere che impedisca la cosiddetta rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. La negoziazione di accordi di libero scambio dovrà poi riflettere gli obiettivi ambientali dell’Unione: andranno opportunamente selezionate controparti di mercato e inserite clausole sulla sostenibilità ben più stringenti rispetto a quelle attuali. In generale c’è bisogno di una Unione più assertiva, con una posizione più ferma riguardo alla concorrenza globale sleale e alle acquisizioni predatorie da parte di imprese pubbliche e di fondi sovrani".


Nella proposta di risoluzione si distinguono nettamente le due fasi che ci attendono: quella della ripresa e quella della ricostruzione. Gli strumenti devono essere diversi?
"Dal momento che la sospensione parziale degli aiuti di Stato ha avvantaggiato i Paesi con più disponibilità finanziarie, occorre agire rapidamente sostituendo gli schemi nazionali di supporto a lavoratori e imprese con programmi europei direttamente gestiti dalla Commissione. L’Europa non può più limitarsi a stabilire regole senza gestire la transizione, altrimenti perderemo gran parte della manifattura europea. Le imprese escono fortemente indebitate da questa crisi: occorre sostenere la ricapitalizzazione, prevedendo l’ingresso diretto nel capitale delle imprese più grandi, e mettere in campo un supporto fiscale potente anche con aiuti settoriali - ora che si può fare - per risollevare i settori più colpiti come l’automotive, il turismo e l’aviation. Per la seconda fase, quella della ricostruzione, serve un potente programma di investimenti pubblici per accompagnare la trasformazione del sistema industriale verso il digitale e la riconversione ambientale".


C’è il nodo della decarbonizzazione, che impatta sull’industria dell’acciaio e quindi su tutta la filiera produttiva della meccanica e del settore automobilistico.
"L'esempio dell’acciaio fa capire bene come occorre muoversi, al di là della definizione dei massimi sistemi. Per decarbonizzare occorrerà: prevedere potenti incentivi al cambiamento dei macchinari e delle tecnologie, perché le imprese da sole non ce la possono fare; prevedere sovvenzioni al prezzo del gas al momento non competitivo per la produzione di acciaio; imporre un’imposta sul carbonio alle frontiere per prevenire importazioni inquinanti a basso costo. La leva, in vista del Recovery fund, deve essere quella della combinazione di aiuti diretti e di stimoli fiscali con un occhio particolare alle Pmi. Solo così il sistema industriale europeo si salverà".


Il problema, per l’Italia, è come collegare il sistema che sta mettendo in campo l’Europa all’azione del governo. Gli Stati generali che partono oggi potranno aiutare a mettere a punto un piano utile?
"Invece di perdere tempo in passerelle mediatiche il governo farebbe bene a ripristinare Impresa 4.0 così com’era e allargare tutto il sistema di incentivi alla finalità ambientale. Gli Stati generali sono un tentativo di prendere tempo per distrarre l’opinione pubblica dal vuoto di proposte e soluzioni del governo. D’altra parte molti ministri non hanno mai gestito neanche un bar in vita loro. E rischiamo per di più di fare una figuraccia anche in Europa, vista la partecipazione della presidente della Commissione Ursula Von der Leyen e delle altre personalità annunciate".


Come giudica il piano presentato da Vittorio Colao?
"Colao è una persona di valore e il piano presentato è molto ben fatto, anche se su alcune cose mi trovo in disaccordo: a mio avviso è sbagliato ripercorrere la strada di condoni. Ma ora vedo che il governo, dopo aver nominato la task force, la disconosce. Allora perché l’ha istituita?".

 

Intervista di Emilia Patta.