Il campo largo non esiste
L’intervista di Carlo Calenda a Repubblica
«Non esiste il campo largo, ma c’è un bivio: o i riformisti o i 5Stelle, che tutto sono fuorché di centrosinistra», avverte Carlo Calenda in risposta all’appello di Elly Schlein, lanciato dalle colonne di Repubblica, per unire in coalizione tutte le opposizioni al governo Meloni. Per il leader di Azione ciò non preclude gli accordi sul piano locale, dove «è più facile ritrovarsi attorno a un progetto per il territorio e a un candidato credibile». Ma di adottare lo stesso schema per la guida del Paese non se ne parla: «Se il Pd vorrà restare insieme al M5S, capitanati da un signore che nega il sostegno all’Ucraina, noi non ci saremo perché se anche dovessimo vincere, poi saremmo incapaci di governare».
Ma che senso ha accettare l’alleanza alle amministrative e negarla alle politiche?
«Alle comunali e alle regionali non si discute di temi come la guerra o il posizionamento internazionale dell’Italia. I programmi vertono essenzialmente su sanità e servizi ai cittadini. L’intesa è più semplice se, come in Abruzzo, si converge su un candidato liberal-progressista e molto capace come Luciano D’Amico. Oltretutto, trattandosi di sistemi totalmente maggioritari, sfilarsi significa condannarsi all’irrilevanza».
Guardi che, con le debite differenze, vale lo stesso a livello nazionale.
«No, altrimenti non sarei in Parlamento. Ripeto, il M5S non è un partito di centrosinistra perché il suo leader è un populista a cui piacciono Putin e Trump e questo è incompatibile con la cultura progressista. Proprio come Salvini è incompatibile con i popolari: anche Tajani prima o poi dovrà fare una scelta. Non si può far finta di niente, forzare sulle alleanze, pur di andare o restare al governo».
Ma è una questione aritmetica: con dentro il M5S il centrosinistra se la gioca, senza vince il centrodestra.
«Al contrario, è destinato a perdere. Ma c’è di più. Se continuiamo con il bipolarismo coatto finirà la democrazia: le persone non vanno più a votare perché sono stufe di questa sterile contrapposizione tra destra e sinistra, incapace di produrre alcunché su sanità, scuola e salari che sono i tre diritti sociali fondamentali. Temi sui quali con il Pd si deve e si può lavorare, e Azione lo sta già facendo, ma non costruire un’alternativa a Meloni insieme ai 5S che sono qualunquisti. Hanno governato con Salvini e potrebbero tornarci domani senza battere ciglio».
Schlein è convinta si possa fare una sintesi nelle reciproche differenze. Lei si chiama fuori?
«Se Schlein avesse coraggio dovrebbe mollare i 5S e guardare al centro. Se ormai il 50% degli elettori diserta le urne è perché è scontenta dell’attuale offerta politica. L’indicazione che arriva dalle regionali è chiara: i partiti moderati come Azione e FI, ma anche il Pd che ha in seno una robusta anima riformista, si rafforzano poiché il populismo sta stancando. Perciò Elly, con la quale ho un buon rapporto, è a un bivio: può decidere di restare con Conte oppure abbandonare al suo destino uno che strizza l’occhio alla Cina e simpatizza con Trump che vuole distruggere l’Europa e ha detto che Hitler ha fatto anche cose buone. Le europee si giocheranno su questa roba. Prima lo capiscono, prima si potrà costruire un’alternativa alle destre».
A proposito di europee, lei si candiderà?
«Non vorrei. Ho proposto agli altri leader un patto per non farlo. Se si candidano tutti però non sarà semplice restarne fuori».
Tornando a noi, è la somma che fa il totale, direbbe Totò. E senza Conte il campo progressista non ha i numeri per battere i sovranisti.
«Ma quanto consenso toglie alla coalizione il fatto di essere alleati con il M5S? In Abruzzo metà dei nostri elettori potenziali non ci hanno votato perché c’erano i grillini».
Vale anche il contrario, però.
«Certo, ma c’è una differenza: liberali e progressisti a tutte le latitudini lavorano insieme sui dossier più importanti, a partire dalla difesa comune europea che sarà il primo da affrontare nella prossima legislatura comunitaria. I 5S sono anti-occidentali, assistenzialisti e populisti anche in Europa: se Schlein insiste, questo abbraccio finirà per danneggiare il Pd».
Ma non potreste fare come il centrodestra che litiga su tutto ma al dunque si unisce e vince?
«Non mi pare un modello, visto che ogni giorno li critichiamo per come stanno mal governando. Il trend dice che si vince al centro e non più sulle estreme. Perciò il Pd farebbe bene a chiudere la stagione giallorossa — aperta con il Conte2, il vero peccato originale, ché se si fosse votato subito l’ex premier sarebbe rimasto un signor nessuno e i 5Stelle non esisterebbero più — e fare una traversata nel deserto, altrimenti non arriveranno vivi alle prossime politiche. La conflittualità con il M5S è destinata ad aumentare perché Conte o detta legge e fa il leader della coalizione oppure la coalizione non la fa. Guardi cosa sta succedendo in Basilicata con i veti grillini».
E se il Pd insisterà a voler tenere tutti dentro?
«Pazienza, ciascuno per la sua strada e amici come prima. Ma posso già fare una previsione: quando Meloni fallirà poiché ha promesso troppo e per le divisioni interne alla maggioranza non combinerà niente, nascerà un governo di larghe intese come con Draghi. Il primo ministro che, lo voglio ricordare, è stato fatto cadere da Conte per il termovalorizzatore di Roma che ora sta realizzando un sindaco del Pd».
(Intervista a cura di G. Vitale disponibile qui)