Un polo che diventa partito

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06/03/2023

L'articolo di Carlo Calenda sul Foglio

Dopo l’elezione di Elly Schlein il sistema politico ha raggiunto un ulteriore punto di chiarezza. A sinistra la linea politica di PD e 5S si è definitivamente unificata, mentre a destra c’è solo Giorgia Meloni con un paio di ruote di scorta più o meno gonfie.
Con la sconfitta di Stefano Bonaccini è stata persa anche un’intera classe dirigente di bravi amministratori locali del nord, l’ultimo residuo di riformismo pragmatico esistente nel PD. La loro vittoria sarebbe stata la vera novità. Invece, insieme alla Schlein, hanno vinto Bettini, Zingaretti, Orlando, Franceschini, Conchita De Gregorio e Michela Murgia. Non una grande novità di classe dirigente, linea politica o pensiero.

Cosa farà il Terzo Polo dopo l’elezione di Elly Schlein? La risposta è: quello che faceva prima. Costruiremo il partito unico di popolari, liberali e riformisti, riunificando classi dirigenti ed elettori che sono stati divisi con l’accetta del bipolarismo. Non mi aspetto un esodo di deputati dal PD e non ne auspico uno da Forza Italia. Altra cosa sono invece gli amministratori locali, gli unici ad avere contatti con il territorio e con gli elettori, che da tempo stanno arrivando.

Il mondo è cambiato con il binomio Giorgia/Elly?
Da ormai decenni i commentatori descrivono fatti contingenti come scintille di rivoluzioni inesistenti. Ieri 5S e Salvini, oggi Meloni e Schlein, domani chissà. La realtà sottostante alla “grande rivoluzione quotidiana” non cambia se non per peggiorare inesorabilmente. La sanità finisce di andare a pezzi; la scuola diploma giovani che risultano tra i meno preparati d’Europa; non si spendono i soldi del PNRR; non si fa un piano energetico sensato etc.

Passiamo da un’emergenza all’altra considerandola alla stregua di un hashtag su Twitter. Un esempio? A luglio si ripresenterà la siccità, non avremo fatto gli invasi né tantomeno unificato le duemila e passa società pubbliche che si occupano di gestire la malmessa rete idrica italiana. Ma discuteremo di tutto ciò come fosse la prima volta. Con grande passione e profusione di esperti.
Ogni anno cambia solo la tonalità del rumore. Prevedo che si farà sempre più acuto. E a molti ciò piacerà immensamente. Piacerà innanzitutto agli elettori tifosi che, a causa dell’aumento dell’astensione di quelli scoraggiati, diventano ad ogni tornata elettorale (primarie aperte comprese) più decisivi. Questo corpo elettorale cerca solo l’identità e concepisce la politica come una perpetua seduta di “training autogeno” (“finalmente torna la vera sinistra”; “è finita la pacchia con i patrioti al Governo”).

Il crescendo dei toni piacerà poi molto ai giornali e alle televisioni. Aiuterà a semplificare ulteriormente il loro lavoro, che si limiterà a giustapporre i rumori dei due schieramenti nei talk show. Prevedo un fiorire di trasmissioni di Retequattro sulla sinistra al caviale traditrice dei popoli e un dilagare di inchieste sul fascismo dei meloniani da parte di quelle de La7. Niente di nuovo dopotutto. È quello a cui abbiamo assistito negli ultimi trent’anni.

La magistratura si troverà nella sua area di conforto. Inchieste su inchieste verranno aperte per dimostrare che dietro qualsiasi decisione di governo si nasconde un reato penale. Come sempre accaduto, anche questo rumore si trasformerà poi in silenziose assoluzioni con qualche vita rovinata nel disinteresse generale. La cortina acustica piacerà poi tantissimo all’alta burocrazia, che sarà esonerata da qualsiasi prova realizzativa. Chi volete che accenda i fari sulla mancata spesa dei soldi del PNRR quando possiamo dibattere della lettera di una Preside di Firenze sul fascismo?

Ad un certo punto però, vuoi perché alla gente sarà venuto a noia il rumore, vuoi perché l’instabilità ci metterà davanti ad un’emergenza bellica, energetica o finanziaria, constateremo che la politica del rumore ha fallito di nuovo. Se saremo capaci, quello sarà il nostro momento.
Siamo dunque ancora pienamente nelle convulsioni di una seconda Repubblica che degenera, un anno dopo l’altro, parlando sempre delle stesse cose e sempre nello stesso modo. È uno spettacolo che ha solo meno spettatori: questo lo ha persino peggiorato.

Azione e il Terzo Polo sono nati per opporsi a questo declinante tran-tran. Non è cosa facile, ce ne rendiamo conto benissimo. Tutta la scena politica italiana – media e Parlamento in primis - è settata su un’altra frequenza. Cercare di fare diventare popolari le scelte giuste appare talvolta anche a me un’utopia. Eppure, tentare è inevitabile ed è comunque bellissimo.

Proviamo a vedere dunque in che modo lo faremo, partendo dal definire come ci regoleremo con il rumore e prendendo ad esempio i due “acuti” più attuali: Piantedosi e l’inchiesta della procura di Bergamo su Covid. Di Piantedosi abbiamo chiesto le dimissioni per incapacità di svolgere un ruolo decisivo per mantenere un clima disteso nel Paese con equilibrio. Non c’è nulla di male, anzi, nell’essere un “questurino”, ma se questo ti senti, questo devi continuare a fare. Non abbiamo dato viceversa un giudizio sulle responsabilità della guardia costiera o di Frontex perché non sono acclarate. Allo stesso modo non siamo andati a Crotone, perché la presenza, in contemporanea a quella del Presidente della Repubblica, sarebbe stata inopportuna e avrebbe contribuito a politicizzare una giornata di lutto.

Azione è stata all’opposizione del governo Conte e della giunta di Fontana. Il Terzo Polo è avversario irriducibile della Lega Salviniana e dei 5S. E, tuttavia, l’azione della procura di Bergamo, nella sostanza e nelle modalità, non ci convince. Nella sostanza perché tende a configurare come un reato le decisioni politiche prese in un momento drammatico e emergenziale. Quelle decisioni, probabilmente sbagliate, attendono la sanzione politica degli elettori, che nel caso di Fontana non è peraltro neppure arrivata. Nelle modalità non possiamo accettare che la notizia di un’indagine finisca sui giornali prima di essere notificata agli indagati, accompagnata da inopportune interviste dei magistrati.

Il Terzo Polo si terrà insomma ben lontano dal “rumore”. Non cederemo alla scomparsa dei fatti a favore della militarizzazione dell’elettorato. Quello che ho descritto non è un approccio naif, ma un modo di fare politica che speriamo possa ricostruire una relazione di fiducia con l’elettorato stanco, disilluso e in cerca di onestà intellettuale.

Arriviamo al secondo punto: qual è l’elettorato, attuale e potenziale, del Terzo Polo? Ci rivolgiamo a tutti i cittadini che si sono ritrovati nel profilo e nella qualità dell’azione del Governo Draghi. Uso questo termine di paragone, che so essere oramai perso nelle nebbie della nostra flebile memoria a lungo termine, perché, per la prima volta nella storia recente, quel governo ha portato nella politica un forte spirito repubblicano, riconciliando elettori che si erano divisi (e spesso insultati).

Come per magia, la realtà ha fatto irruzione nel dibattito. Abbiamo finalmente parlato delle cose in sé e non come riflesso del nostro posizionamento politico. Non abbiamo cercato di “marchiare” a fuoco la realtà a seconda della nostra appartenenza ideologica. Eppure è stato un Governo guidato da principi netti, innanzitutto per ciò che concerne il posizionamento internazionale dell’Italia. Abbiamo riconosciuto in quel governo un denominatore comune fatto della nostra appartenenza europea, del nostro essere una democrazia liberale compiuta e del nostro desiderio di ricongiungerci, modernizzando l’Italia, con i grandi Paesi europei da cui inesorabilmente ci eravamo allontanati negli ultimi decenni.

Il percorso del Governo Draghi non è stato privo di indirizzo politico e culturale. Lo stesso Draghi si è riconosciuto nel filone culturale del liberalismo sociale e del repubblicanesimo, che tiene insieme la libertà individuale, di iniziativa economica e il compito della Repubblica “di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, come previsto dall’art. 3 della Costituzione. In questo equilibrio tra autonomia individuale, doveri e società, si possono ritrovare le tre grandi famiglie politiche che hanno fatto l’Europa: riformatori, liberaldemocratici, popolari.

Questo elettorato va sollecitato con proposte, presenza sul territorio, distanza dagli scontri ideologici, concretezza, coerenza e schiettezza. Non avremo paura di continuare a confrontarci con il governo, perché questo è il compito dell’opposizione, e discuteremo con le altre opposizioni sui temi che ci uniscono, a partire dal Salario Minimo, senza pregiudiziali. Ma non ci faremo intrappolare dalla pretesa di unità politica delle opposizioni. Con questo Pd e con il M5S non condividiamo quasi nulla. Come potremmo dar vita a un accordo politico?

Quando partecipo ad un talk show mi chiedono spesso di fare un elenco dei punti che ci dividono dal PD. Normalmente cito: la politica industriale, economica, energetica, ambientale, l’idea del ruolo dello Stato nell’economia, il pacifismo peloso, l’assistenzialismo, la retorica dei diritti senza doveri. Un elenco che mi sembra già sufficiente. Ma ciò che soprattutto ci divide è la politica come moralismo. La politica che non spiega mai il “come” e fugge dalla complessità della realtà a favore della retorica di ciò che è interamente buono (e perciò per definizione metafisico). Prevedo che con Elly Schlein alla guida del PD questa tendenza aumenterà.

Il pragmatismo non è confusione morale, ma al contrario è capacità di affrontare la realtà per trasformarla secondo i propri valori e le proprie idee. Scriveva Lincoln: “La vera norma nel determinare se accettare o respingere qualcosa, non è se in essa vi è del male, ma se vi è più male che bene. Vi sono poche cose del tutto cattive o del tutto buone”.
Il moralismo dei progressisti si è andato da tempo trasformando in hybris votata alla cancellazione della storia, dell’arte e in ultima analisi dell’identità stessa dell’Occidente. Noi riteniamo che la pretesa di giudicare il passato con il metro morale del presente stia facendo precipitare la nostra civiltà in un nuovo oscurantismo. La cancellazione della Storia ha molto a che fare con l’idea che all’uomo moderno non occorra più nulla a parte l’estensione dei diritti individuali. La libertà per i progressisti si configura come mancanza di radici e rifiuto di un ragionamento di senso sull’uso della libertà affinché questa si ricongiunga all’etica. Siamo abituati a chiamare questo approccio relativismo, ma in realtà nasconde un rovesciamento rispetto al principio di fondo delle democrazie liberali. Non si cerca più la “tutela delle minoranze dalla tirannia della maggioranza”, ma si postula il diritto delle minoranze di definire ciò che si può o non si può fare per tutti.

Il paradosso della sinistra è il rifiuto dell’idea stessa di morale e contemporaneamente l’abuso del moralismo. Conseguentemente sono caduti una serie di valori fondamentali della sinistra storica. Penso alla centralità dell’emancipazione verso l’assistenzialismo. Proprio qui la saldatura tra 5S e PD ha prodotto un danno irreversibile. Il dibattito sui sussidi ha sostituito quello sull’istruzione e sulla formazione. La richiesta di assistenza ha annullato la discussione sul lavoro. Il “gratutitamente” di Conte è diventato il nuovo massimalismo della sinistra italiana.
La scomparsa del richiamo ai doveri come primario collante sociale (i doveri e non i diritti regolano i rapporti tra le persone e la comunità/patria) è ampiamente condivisa dalla destra. In tutto il mondo il messaggio di fondo della nuova destra di Bolsonaro, Trump, Johnson è stato: “Fate quello che vi pare”. Sulle tasse, sul Covid, sulle armi, sugli impegni internazionali, sul rispetto delle istituzioni.

Trasversale a destra e sinistra, nei confronti degli impegni internazionali e della guerra in Ucraina, la sindrome della “trascuratezza benestante” (espressione ricorrente nel dibattito tedesco come Wohlstandsverwahrlosung), descritto dalla saggista Helene Von Bismarck come “uno stato di decadenza che risulta dall’aver avuto tutto troppo facilmente per troppo tempo, portando a ritenere egoisticamente equivalenti i piccoli disagi e i mediocri conseguimenti al dolore e alla lotta di persone che conoscono il significato dei problemi reali”. Anche in questo caso il velo che nasconde l’egoismo è il moralismo della pace senza condizioni.

La costruzione di un’idea della politica a partire dai doveri del cittadino e dalla ricerca etica è del tutto compatibile con l’idea di democrazia liberale. Tendiamo a scordare che in una democrazia liberale è l’uomo con le sue decisioni politiche, di consumo e di relazione, a definire l’andamento dell’intera società. Ciò presuppone un’assunzione di responsabilità che va oltre sé stessi e che si pone il problema dei riflessi dei propri comportamenti sulla qualità complessiva di una comunità. Una postura tanto più necessaria, in quanto il progresso tecnologico e scientifico oggi accelera il ritmo della trasformazione sociale e forza gli stessi limiti naturali. Rispetto a questa tendenza è doveroso che la politica si distacchi dal principio per cui “ciò che è possibile è anche giusto”.

Il punto di incontro di riformisti, liberali e popolari può essere trovato proprio qui, in una idea di umanesimo votato alla ricerca di senso e di un nuovo equilibrio tra libertà individuale e responsabilità sociale, tra diritti e doveri. Identifico questa idea nel “Repubblicanesimo”. La radice di questo pensiero politico ha origini nell’ethos della Roma repubblicana e successivamente nel pensiero politico di Machiavelli e Mazzini. Ma è in America che, partendo da queste premesse culturali, riuscì a fiorire.

Dal Repubblicanesimo deriva anche un pensiero preciso sulla forma dello Stato: istituzioni forti ma in un perimetro ben definito, fuori ampio spazio all’iniziativa privata. Esecutivo robusto, libero di agire rapidamente e con incisività. Federalismo ben perimetrato e ruolo centrale dei comuni come primo anello di congiunzione tra cittadinanza attiva e politica. Patriottismo repubblicano come collante “caldo” della comunità.

Questo indirizzo è quanto mai appropriato per affrontare i problemi italiani, nel momento in cui ci disponiamo a discutere di riforme istituzionali. Il Terzo Polo farà a breve una proposta articolata sui seguenti punti: monocameralismo, rafforzamento dei poteri del premier, ridistribuzione delle competenze tra Stato, Regioni e comuni, spostamento verso il centro di tutte le competenze necessarie alla sicurezza energetica, infrastrutturale ed economica della Nazione. Ci opporremo sia al progetto di autonomia di Calderoli, da cui discenderebbe un aumento del caos istituzionale e della burocrazia, sia al Presidenzialismo della Meloni che indebolirebbe l’unica istituzione in cui gli italiani tutti si ritrovano, a prescindere dall’orientamento politico. Faremo poi proposte per aumentare la partecipazione al voto, primo dovere civico per un repubblicano.

Con il PD si potrà collaborare nella difesa dei diritti democratici, se verranno attaccati, o in qualche elezione amministrativa. Ma da oggi alle europee, elezioni totalmente proporzionali, il compito del Terzo Polo sarà quello di radicarsi come forza politica indipendente e distante da questa destra e da questa sinistra. Per farlo una federazione non è più sufficiente. Così come sufficiente non è la somma di due partiti. Per questo ho proposto al Comitato Politico della Federazione del Terzo Polo di accelerare la nascita del Partito unico e di tagliare questo traguardo entro ottobre, in modo da poter affrontare l’appuntamento delle europee opportunamente preparati. Alla fine di questa settimana riceveremo la risposta di Renzi. Se sarà positiva e convinta, immediatamente dopo, inizieremo a lavorare su un manifesto politico alla cui scrittura parteciperanno anche associazioni, partiti e personalità che condividono il nostro orizzonte politico e culturale. Il meccanismo di selezione della classe dirigente e della leadership dovrà essere competitivo, trasparente e coinvolgere i territori. Al termine del processo Azione e Italia Viva si scioglieranno e il partito dei liberaldemocratici sarà finalmente realtà.

Non ho molto da aggiungere. Questo è ciò che abbiamo inteso fare da quando abbiamo fondato Azione nel novembre del 2019 e questo è ciò che faremo con chi ci vorrà stare.