La nostra posizione sui referendum del 8 e 9 giugno

L’8 e il 9 giugno 2025 si terranno in Italia cinque referendum abrogativi su temi legati al lavoro e alla cittadinanza a seguito della dichiarazione di ammissibilità da parte della Corte Costituzionale il 20 gennaio 2025. Il referendum sarà valido se parteciperà al voto almeno il 50% + 1 degli aventi diritto.
Promotori
❍ I quattro quesiti sul lavoro sono stati promossi dalla CGIL, ed hanno raccolto oltre 4 milioni di firme.
❍ Il quesito sulla cittadinanza è stato promosso da +Europa, Possibile, PSI, Radicali Italiani, Rifondazione Comunista e varie associazioni, raccogliendo oltre 637.000 firme.
Quando si vota
❍ Domenica 8 giugno 2025: dalle 7:00 alle 23:00
❍ Lunedì 9 giugno 2025: dalle 7:00 alle 15:00
La polemica principale riguardo alle date scelte per i referendum è scaturita dalla decisione del Governo di far coincidere la consultazione con il secondo turno delle elezioni amministrative, anziché con il primo turno, come richiesto dai promotori (considerando che il primo turno interessa un numero maggiore di elettori).
La nostra posizione
QUESITO 1
Licenziamenti illegittimi (Jobs Act)
Ripristinare la possibilità di reintegro nel posto di lavoro per i lavoratori licenziati senza giusta causa, abrogando le norme introdotte dal Jobs Act
✘ CONTRARI
Le norme attualmente in vigore sono piuttosto differenti da quelle approvate nel Jobs Act, in quanto la Corte costituzionale è intervenuta sul tema in diverse occasioni, modificando in maniera sostanziale la disciplina. Innanzitutto, la norma attuale prevede un congruo risarcimento del danno in caso di licenziamento ingiustificato (fino a 36 mensilità).
Con l’ultimo intervento della Consulta è stata, inoltre, prevista la reintegra anche nell’ipotesi del licenziamento disciplinare e nell’ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Si può sostenere che, dopo gli interventi della Corte, in alcuni casi il contratto a tutele crescenti è più favorevole dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Inoltre, una delle critiche più feroci verso questo nuovo impianto di tutele è rappresentato dal fatto di creare una disciplina differente tra i lavoratori assunti prima del 2015 (quindi prima che entrasse in vigore il Jobs Act) e i lavoratori assunti dopo tale data.
Approvando questo referendum, invece, si crea un’ulteriore diversificazione: ci sarebbero lavoratori disciplinati dall’articolo 18 dello Statuto (ormai una parte residuale, circa il 20% dei lavoratori), quelli con le tutele crescenti fino alla data del referendum e poi quelli assunti successivamente al referendum. Infatti, gli effetti del referendum sono ex nunc, non avendo rilevanza su tutti i lavoratori assunti tra il 2015 e il 2025. Le sentenze della Corte, al contrario, hanno effetto ex tunc, e dunque tutelano tutti i lavoratori assunti dal 2015 in poi.
QUESITO 2
Indennità per licenziamenti nelle piccole imprese
Eliminare il tetto massimo all’indennizzo economico (6 mesi di stipendio) per i lavoratori licenziati senza giusta causa nelle imprese con meno di 15 dipendenti, restituendo al giudice la discrezionalità nel determinare l’ammontare del risarcimento (sulla base di una serie di criteri, tra cui l’età, carichi di famiglia, e capacità economica dell’azienda).
✘ CONTRARI
L’approvazione di questo quesito avrebbe degli effetti con dei profili di incostituzionalità relativamente ad almeno due aspetti.
Il primo è che la Corte Costituzionale ha ritenuto che il parametro per individuare le piccole imprese fondato soltanto sul numero dei dipendenti è incostituzionale. Il referendum lascia questo parametro e quindi il parametro incostituzionale resta anche dopo il referendum.
Il secondo aspetto è che la norma, se passasse il referendum, avrebbe l’effetto paradossale di creare un regime sanzionatorio del licenziamento per le piccole imprese più favorevole rispetto a quello per le grandi imprese. Per queste, infatti, esiste un tetto massimo per l’indennizzo economico, pari a 36 mesi.
Nelle PMI non ci sarebbe alcun tetto, venendosi a creare una disarmonia: per le piccole imprese il giudice può stabilire liberamente la misura del risarcimento, mentre per le imprese più grandi ci sarebbe comunque un tetto.
QUESITO 3
Contratti a termine
Abrogare le norme che facilitano l’uso dei contratti a tempo determinato, reintroducendo tra le altre cose, l’obbligo di una “causale”, cioè quello per cui i datori di lavoro devono spiegare perché ricorrono a un tipo di contratto a termine (al momento la scelta dell’azienda è insindacabile anche in un eventuale giudizio).
✘ CONTRARI
Ad oggi è già prevista una durata massima per i contratti a tempo determinato: nei primi dodici mesi è possibile fare un contratto a termine senza nessuna causale, mentre nel periodo successivo (fino ad un massimo di 24 mesi) devono essere presenti delle causali stabilite dalla contrattazione collettiva. Dopo due anni, il contratto si trasforma in indeterminato.
Se passasse il referendum si avrebbe un sistema di contratto a termine che non consente alle imprese neppure di fare contratti a tempo determinato di fronte a incrementi straordinari e imprevedibili di produzione. Cioè le imprese potrebbero fare contratti a termine solo ed esclusivamente per la sostituzione dei lavoratori. Questo non avveniva nemmeno quando c’era la disciplina più rigorosa sul contratto a termine, con la legge n. 230/1962. Inoltre, irrigidire il mercato del lavoro andando a limitare l’utilizzo di questo strumento, utilizzato nel primo periodo di occupazione in un’azienda anche per conoscere e valutare approfonditamente il dipendente, non risolve il problema del mercato del lavoro, ma, anzi, rischia di acuirlo.
Rendere il mercato più rigido non facilita la possibilità di trovare un’occupazione stabile, ma, al contrario, crea immobilismo e meno possibilità per chi si affaccia al mondo del lavoro, quindi in particolare per i giovani.
QUESITO 4
Responsabilità solidale nei contratti
Ripristinare la responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per gli infortuni sul lavoro, anche in presenza di rischi specifici delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.
✘ CONTRARI
Prevedere che l’azienda o la pubblica amministrazione che appalta un lavoro ad un’impresa sia responsabile di tutto ciò che avviene a valle produrrebbe come effetto il blocco degli appalti in Italia, e quindi di tutti i lavori pubblici, che già oggi si fatica a realizzare, come ampiamente dimostrato nella messa a terra del PNRR.
Siamo d’accordo con l’introduzione di maggiori controlli per ridurre gli incidenti sul lavoro e a mettere in campo tutti gli strumenti utili a favorire maggiore sicurezza, a partire dall’assumere più personale amministrativo nell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, dato che a causa della sua carenza il 38% degli ispettori INL (916 unità su 2.412) è stato destinato allo svolgimento di attività̀ diverse da quella di vigilanza e supporto. Il quesito, però, va nella direzione sbagliata, aumentando le responsabilità delle aziende senza garantire maggiore sicurezza.
QUESITO 5
Cittadinanza italiana per stranieri
Ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto agli stranieri extracomunitari maggiorenni per ottenere la cittadinanza italiana.
✔ FAVOREVOLI
Diminuire gli anni necessari per ottenere la cittadinanza italiana è una misura utile e di buon senso per favorire una maggiore integrazione. Una persona che vive in Italia da cinque anni in modo regolare, lavora, contribuisce al sistema fiscale e partecipa attivamente alla vita del Paese, deve poter essere riconosciuta come cittadina italiana a pieno titolo.
Pur non essendo oggetto del quesito referendario, la nostra proposta di legge (Ius Scholae) va nella stessa direzione del quesito referendario: riconoscere i diritti di chi è parte integrante della nostra società.