Sulla violenza di genere va cercata l’unità
L’intervista al Messaggero di Mara Carfagna
«Di fronte a un fenomeno drammatico come quello dei femminicidi, la politica ha il dovere di trovare l'accordo più ampio possibile, seguendo il metodo del dialogo e del confronto. Così facemmo sullo stalking nel 2008, con il governo Berlusconi che si era appena insediato, e così dovremmo rifare oggi. Bene quindi l'approvazione all'unanimità del ddi Roccella».
Mara Carfagna, presidente di Azione, si dice soddisfatta per il voto al Senato, ma al tempo stesso esprime un rammarico.
«Avremmo potuto e dovuto fare prima. All'inizio della legislatura, un anno fa, Elena Bonetti, Mariastella Gelmini e io presentammo un testo quasi identico a quello approvato ora che conteneva misure per rafforzare il sistema di prevenzione, protezione e repressione. Riprendeva il progetto che avevamo presentato come ministre del governo Draghi e che non era stato approvato per la fine anticipata della legislatura. Il nuovo governo ha aspettato quasi un anno per presentare una norma pressoché identica e per di più ha evitato la via veloce del decreto, rifiutando il modello "interventista" adottato in precedenza su questi temi».
Si riferisce sempre al 2008...
«All'epoca, grazie anche alla sensibilità dell'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni, le norme sullo stalking furono inserite in un decreto legge, perché la politica capì che bisognava agire con urgenza. Grazie anche a un'alleanza trasversale tra donne di diversi schieramenti riuscimmo a vincere le resistenze e la legge fu approvata in tempi rapidissimi».
Quindici anni dopo, quello strumento va rafforzato?
«Sì, con la legge che stiamo approvando, ma anche con altre azioni. Ad esempio si deve potenziare la rete dei centri antiviolenza, soprattutto al Sud. Da ministro del Mezzogiorno, introdussi un criterio premiale per i progetti che intendevano trasformare i beni confiscati alla mafia in centri antiviolenza e in case rifugio. Ora però il ministro Fitto ha deciso di escludere quel progetto dal Pnrr e noi chiederemo al governo che si individuino presto altre fonti di finanziamento».
E riguardo alla prevenzione?
«Anche qui, devo riandare alle azioni positive intraprese in passato: nel 2009, con Mariastella Gelmini, allora ministro dell'Istruzione, fu avviata in via sperimentale un'iniziativa nelle scuole. Ci consentiva di entrare nelle classi con filmati, dibattiti, testimonianze e dedicava una intera settimana dell'anno scolastico al tema del rispetto dell'altro e del contrasto alla violenza. Peccato che in tutti questi anni il progetto non sia mai stato reso strutturale. Adesso arriva il piano del ministro Valditara: bene, ma mi lasci dire che la presenza del prof. Alessandro Amadori nel comitato che lo ha elaborato è inopportuna. Possibile che non esista una professionalità, magari una donna, meno controversa?».
È giusto caricare la scuola di altre responsabilità?
«Non si tratta di addossare responsabilità alla scuola, ma semmai di considerarla un'alleata. La scuola può trasformarsi in generatore di tolleranza e di rispetto. E il posto dove si va fin da piccoli e dove si trascorre buona parte della giornata. Un giusto modello educativo può insegnare a riconoscere la violenza, a non sottovalutarla mai, a tenersene lontani e a denunciarla quando si manifesta. Violenza sulle donne e femminicidi sono strettamente legati alla cultura generale di una società che stenta ancora a riconoscere donne e uomini come uguali, con lo stesso diritto di rompere una relazione, costruirsi una vita indipendente, seguire i propri interessi. E una cultura che va scardinata con percorsi di educazione e formazione, non solo nelle scuole».
E dove?
«Penso per esempio alla magistratura. Sia chiaro, i magistrati in larga maggioranza fanno il loro dovere, e siamo loro grati per questo, ma ci sono state sentenze che hanno lasciato tutti sgomenti e ci fanno capire che anche lì c'è molto da fare».
Condivide l'idea di una marcia contro la violenza sulle donne organizzata dagli uomini?
«È una proposta del presidente del Senato Ignazio La Russa che trovo opportuna. Ci vedo il tentativo di responsabilizzare gli uomini. I convegni o i dibattiti televisivi che si occupano di questi temi sono quasi tutti al femminile, ma invece di una separazione tra uomini e donne servirebbe un'alleanza».
Cosa pensa del dibattito su Meloni e il patriarcato così acceso in questi giorni?
«Lo trovo fuori luogo, ideologico. Qui siamo di fronte a un tema grande, profondo, che non possiamo trasformare in uno scontro e peggio ancora in uno scontro tra donne. Sostenere che la presidente del Consiglio esprima una cultura patriarcale mi sembra forzato. Il tema è come proteggere le donne, e abbiamo tutti il dovere di agire con atti concreti. Lo dobbiamo alle tante Giulia che ogni giorno rischiano la vita».
(Intervista a cura di P.Piovani)